Siamo a Fara San Martino, con la cornice naturale rappresentata dalla spaccatura della gola di San Martino nel Vallone di Santo Spirito, ti riporta indietro nel tempo. Precisamente all’832, anno a cui si fa risalire l’abbazia di San Martino in Valle, gioiello benedettino incastonato nella roccia e recentemente riportato alla luce. Il Monastero era sepolto sotto 12 metri di detrito alluvionale e con grandissima fatica e non poche difficoltà, è stato riportato alla luce nel 2009. Quello che appare dopo aver attraversato la gola, è uno spettacolo da non perdere, dove storia, arte e architettura si incastrano alla perfezione in un vero museo a cielo aperto, e dove il sentiero H1 si inerpica per raggiungere la cima più alta della Maiella – Monte Amaro a 2793 metri.
Fa davvero impressione attraversare la gola, passare in quel ‘varco’ tra due pareti rocciose largo poco meno di due metri.
E sapete come si è creato quel varco? La leggenda racconta che fu un’impresa di San Martino che ha aperto la roccia con la forza dei gomiti per favorire l’accesso alla montagna dei faresi e per costruirvi poi la Chiesa di San Martino in Valle.
E' solo una leggenda, ma...... c’è anche una ‘prova’: i solchi dei gomiti ancora visibili sulle rocce, due profondi incavi nelle pareti della montagna. Poco si sa invece della storia dell’antico monastero di San Martino in Valle. I pochi documenti ritrovati sono da completare, le intuizioni e prime verifiche degli storici da confermare. Molte risposte sono da ricercare presso l'Archivio Vaticano dove sono custoditi numerosi manoscritti sulla “Abbazia di San Martino della Fara”.
Le prime notizie storiche conosciute sul Monastero si intrecciano con quelle di un altro e più importante centro benedettino, l’Abbazia di Montecassino.
Nel XII secolo le varie proprietà monasteriali passarono sotto le locali autorità vescovili; conseguentemente San Martino in Valle divenne dominio del vescovo di Chieti.
Il 1100 coincide con un inesorabile declino del monachesimo. Il monastero di San Martino in Valle che aveva rappresentato un suggestivo luogo religioso perde importanza. Il luogo, abbandonato dagli uomini, torna in balia delle forze della natura. Ghiaie alluvionali con il passare del tempo invadono gli edifici; specie con l’alluvione del 1819 che colpisce la vallata ricoprendo l’intero sito del Monastero. Successivamente, nel 1891, l’iniziativa popolare degli abitanti di Fara diede inizio a scavi archeologici presieduti da una commissione conservatrice dei Monumenti Nazionali della Provincia, riportando alla luce i resti della Chiesa, un muro dell’attiguo monastero rimasto sepolto ed un cimitero.
Diverse alluvioni in successione invasero nuovamente il sito archeologico fino al più recente intervento per riportarlo alla luce, con 4 anni di campagne di scavi.
A tutt’oggi sulla gestione e sulla destinazione del monastero regna ancora l’incertezza. Ma vale comunque la pena fare una passeggiata per ammirare questo bellissimo scorcio delle Terre dei Trabocchi, (vedi anche il mio post di venerdì 27 giugno 2014) dove arte, architettura, storia e natura contribuiscono a regalare un’atmosfera ricca di fascino e mistero.
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